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"NUOVA PIZZA CONTEMPORANEA"

di Ermanno Furlanis.


Negli ultimi decenni le pizze si sono evolute in moltissimi metodi, forme, versioni, adattamenti, rincorse, copiature ritorni al futuro e chi più ne ha più ne metta. I tipi di pizza esistenti sul mercato sono innumerevoli però si possono riassumere in tre grandi filoni: la pizza tonda, la pizza in teglia e la pizza in pala. Solo all'interno della pizza tonda ci sono ovviamente tantissime declinazioni della pizza con le contaminazioni della "slice pizza" che è una tonda americana a spicchi apparentata se vogliamo con la pizza in teglia e spesso eseguita con teglia o disco di base (una sorta di teglia senza bordi). Questo vale per la pizza nella sua diffusione globale, ormai ogni parte del mondo presenta la "sua" pizza e a volte, senza volere fare gli snob, qualche esito può essere anche sorprendentemente piacevole come per le multicolori pizze dolci brasiliane o per i supergommoni delle pizze al taglio di Budapest. In Italia in ogni caso negli ultimi 40 anni circa, quelli che mi hanno visto coinvolto in questo fantasmagorico mondo, le pizze tonde si sono diversificate in due tipi principali:

LA NAPOLETANA TRADIZIONALE, la pizza delle origini fatta con impasto rigorosamente diretto, cotta a temperature abbastanza alte, tra i 380 e i 420 gradi con un bordo alto, importante. Questa tecnica predilige farciture semplici con scelta di materie prime eccellenti, san Marzano dop e mozzarelle freschissime. Il limitato tempo di cottura, tra i 60 e i 90 secondi, permette agli ingredienti di restare molto intatti e su questo si basa questa tecnica: sull'esaltazione delle materie prime, poche e scelte, con complemento di aromi classici, basilico, origano e supporto degli ingredienti di riferimento quali acciughe, olive, capperi e, neanche a dirlo la supervisione autorevole del tocco di un ottimo olio d'oliva che non può mancare. L'impasto è basato su acqua, farina, lievito e sale...e nulla chiù. Niente grassi che rendono la pasta friabile avvicinandola alle paste frolle. La caratteristica di questa pizza è di essere molto morbida fino a poterla piegare senza che si rompa, infatti in origine veniva chiusa "a libretto" o "a portafoglio" e poi servita su un foglio di carta come il più classico dei cibi di strada. Se fosse stata croccante ovviamente questa piegatura non si poteva fare bene. E' uno stile di pizza che a me piace se ben eseguito, infatti la morbidezza del prodotto consente di gustarla molto velocemente e di assaporarla calda valorizzando le materie prime di alta qualità. Negli ultimi decenni però, la sua esecuzione affrettata e di scarsa qualità, con ingredienti non sempre disponibili l'hanno resa poco popolare e sopravvive praticamente solo nella regione campana, ma non tutta (l'area di Salerno e Sorrento per esempio presenta pizze più croccanti e con bordi meno alti) E nelle catene internazionali tipo Rossopomodoro, Peperino, La Bufala ecc... che ne mantengono la tradizione con qualità abbastanza buona.

L'altro tipo di pizza è quella che possiamo chiamare ROMANO-VENETA perché si è andata sviluppando in maniera praticamente parallela e con caratteri abbastanza simili nelle due zone: è una pizza dove il cornicione resta molto più basso fino quasi a scomparire nella versione "battuta", la cottura avviene a temperature molto inferiori, sui 300-330 gradi e gli impasti hanno visto moltissime sperimentazioni con molte tecniche anche indirette: biga, poolish, autolisi, uso di grani integrali semintegrali e altri semi. Questo avviene perché non c'è il vincolo della tradizione a frenare lo spirito innovativo dei nuovi pizzaioli del nord e del centro Italia e si è cercato di andare incontro ai gusti dei consumatori: "mi vojo la pizza no vojo magnar pan" si sentiva dire nelle pizzerie venete e così il cornicione dagli anni 50 in poi è andato via via riducendosi; un'altra causa della riduzione del cornicione era l'uso del mattarello dovuto alla scarsa manualità dei pizzaioli del nord che volevano fare la pizza senza avere l'ausilio e gli insegnamenti dei maestri napoletani tradizionalmente abbastanza schivi a rivelare le loro tecniche, almeno fino a qualche anno fa. Ora assistiamo al graduale ritorno negli ultimi tempi di un po' di cornicione perché oggettivamente è più bello di quello di una pizza piatta. L'uso di grassi, olio d'oliva o non, strutto e anche burro, sono previsti in questo tipo di pizza dove la croccantezza non è un difetto ma anzi una caratteristica primaria che va ricercata. Gli ingredienti non sono quelli ottimi della tradizione campana e quindi si è assistito al proliferare delle farciture più complesse con tantissimi condimenti e menù che arrivavano a fine anni 90 anche a 100/200 pizze in menu! Anche questo tipo di pizza se ben eseguito dà un ottimo prodotto: le lunghe tecniche di maturazione gli conferiscono maggiore digeribilità e la croccantezza si mantiene più a lungo, rendendo la pizza più adatta al consumo al piatto più diffuso con l'aumento del benessere degli italiani rispetto al cibo da strada della pizza delle origini. Questo ammiccare ai gusti dei consumatori ha reso questa pizza molto più diffusa su tutto il territorio nazionale al punto che si può ormai parlare di "pizza Italiana".

Per decenni questi due stili di pizza sono stati contrapposti sia nelle tecniche di esecuzione che nel campanilismo degli esecutori stessi. La pizza napoletana viene allargata magistralmente "a schiaffo" e poi tirata sulla pala con elegante mossa ondulatoria. Questo fa si che i gas restino imprigionati nell'impasto con esaltazione del cornicione, però la tecnica è difficile e i nuovi imprenditori del nord, avendo difficoltà ad apprenderla, si sono organizzati con tecniche autonome: schiacciamento a banco (spesso con mattarello) e poi rotazione (A-B-C) nonché recupero con sottile pala di metallo che scorre furtiva sotto il disco; in questo modo l'impasto è molto più stressato e allargato in modo da rendere la pizza più sottile e croccante.

Per decenni i maestri napoletani hanno guardato con sufficienza e compassione alle pizze del nord giudicandole sbrigativamente e con un certo disprezzo: "o biscotto".

Di contro la scuola "romano-veneta" fiera dei suoi risultati e dell'alto livello di tecnologia inserito nelle tecniche di impasto, ha avviato un potente movimento di ricerca che ha coinvolto i Molini con la produzione di farine sempre più tecnologiche e specifiche per ogni prodotto. Non a caso i primi a creare le "farine tecniche" per pizza sono stati i Molini padovani, Agugiaro&Figna (5 stagioni) pionieri assoluti, seguiti a ruota dal molino di Vigevano e dal molino Quaglia. Pochi anni dopo decine di molini si sono adeguati fino all'arrivo anche dei molini del sud (Caputo in primis) che in breve tempo hanno recuperato il ritardo favoriti dal fattore regionale che nonostante la minore diffusione della pizza napoletana, mantiene ancora un alto valore aggiunto di tradizione a livello mondiale.

I pizzaioli della "romano-veneta" accusavano la napoletana di essere "cruda e gommosa"

E così, tra tradizione napoletana, siglata in un celebre "disciplinare" del 2009 che a quanto pare non ha avuto troppa fortuna, e ricerca nel nord, in una ubriacatura di tecniche, lunghe maturazioni, lievitazioni miste, bighe, bighe inverse, riporti, poolish e quant'altro si è andati avanti per molti anni con un faccia a faccia abbastanza duro e contrapposto: se da una parte si attaccava con "eccolo ha fatto u biscotto!" dall'altra si rispondeva con..."cossa xelo gomma da mastegar?" Un faccia a faccia che si è andato ultimamente indebolendo grazie all'alto livello di dibattito portato sia dalle scuole di pizze dove si incontrano maestri di tutte le regioni, sia dalle competizioni dove si confrontano pizzaioli da tutta Italia e anche da tutto il mondo ma soprattutto dalla rete che rende il dibattito molto fitto e produttivo consentendo la rapidissima diffusione di ricette tecniche e di confronto di risultati.

In questo modo la scuola "Romano-veneta" ha dovuto riconoscere la maggior bellezza della pizza napoletana, col suo bel cornicione che sta tornando via via maggiore un po' in tutta Italia, e la scuola napoletana ha scoperto che le tecniche indirette, bandite come il demonio fino al 2010 circa, in verità consentono lo sviluppo di cornicioni migliori e anche la conservazione in frigo delle palline per più giorni (lenta maturazione) non è poi così male dato che consente il risparmio di molta pasta che veniva un tempo buttata o trasformata in pane. Si è quindi assistito grazie al maggior confronto tra pizzaioli, alla progressiva trasformazione di "acerrimi nemici" aggressivamente contrapposti di decenni fa, in "antagonisti leali" della stagione dei concorsi fino a "amichevoli colleghi" degli ultimi tempi dove lo scopo finale di tutti non è più imporre il proprio punto di vista in modo ostile e campanilistico, ma sfruttare tutte le conoscenze per arrivare a un ottimo prodotto che soddisfi i nostri clienti creando emozioni e stati d'animo.

Ecco quindi che le due versioni di pizza si stanno drasticamente avvicinando: le temperature di cottura anche nella napoletana stanno gradualmente scendendo (siamo sui 360/370 ma penso che si calerà ancora) mentre al nord si alzano un poco: sui 320/330;

Il cornicione viene apprezzato e cercato anche al nord e l'impasto biga non solo non è più un tabù ma spopola proprio tra i pizzaioli napoletani che l'hanno portato all'estremo anche con bighe sul 100% della farina scoprendo che in tal modo anche con impastatrici mediocri si hanno elevate idratazioni e risultati migliori.

In pratica si ha una integrazione estetica, con maggiori cornicioni delle pizze "romano-venete" già molto digeribili e tecniche, mentre dall'altra la pizza "napoletana" accoglie le tecniche indirette (biga, poolish autolisi) per finalità pratiche inserendo anche un maggior livello di digeribilità che non guasta.

Possiamo quindi dire che le due versioni si stanno influenzando a vicenda fino a sfiorarsi e confondersi una con l'altra: ed ecco quindi la sintesi: LA PIZZA CONTEMPORANEA!

Essa è il modello limite che sta tra le due versioni, in matematica potremmo dire è il numero "elemento separatore" e nel contempo unificatore che si individua con le classi di equivalenza "maggiore di" e "minore di" un modello al quale ormai tendono tutte e due le scuole.

Possiamo quindi definire le caratteristiche della NUOVA PIZZA COMTEMPORANEA:

- Impasto ottenuto applicando elevate nozioni tecniche su farine e reologia, con uso di impasti indiretti, biga in primis ma anche altre;

- idratazioni abbastanza elevate, sopra il 65%;

- maturazione media o lunga in temperatura controllata;

- allargamento con tecniche miste, un po' a schiaffo un po' a banco;

- trazione mista in pala, con scivolata e aggiustamento poi sulla pala;

- cottura a temperatura moderata (340/370 gradi);

Questo consente l'esecuzione di pizze molto belle con cornicioni importanti alveolature ben sviluppate ma cotte bene e gradevolmente croccanti e soprattutto ben digeribili e saporite grazie alle maturazioni lunghe.

Ovviamente per ora si tratta di un modello intermedio tra le due scuole; il pizzaiolo napoletano tenderà sempre a cucinare un po' più alto per ragioni di abitudine, e i pizzaioli del nord continueranno ad allargare a banco perché lo schiaffo è difficile, ma il risultato finale non sarà più così diverso e le varie canzonature "o biscotto" e "la cingomma" sono destinate a essere archiviate e consegnate alla storia della pizza lasciando spazio al trionfo della NUOVA PIZZA CONTEMPORANEA che ha il compito di riportare il testimone della titolarità della pizza al nostro beneamato e bistrattato paese a dispetto di americani e cinesi che ultimamente hanno tentato invano di accaparrarselo.

La NUOVA PIZZA CONTEMPORANEA a ribadire l'eccellenza e la titolarità della qualità italiana nel mondo!

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